Descrizione
Se si considera la personalità dell’autore e l’estroso argomento, Flatland potrebbe apparire come un capriccio letterario, rampollato semmai nell’otium accademico di un bonario erudito ottocentesco. Potrebbe essere definito un compiaciuto paignion, un esercizio virtuosistico animato dal «gusto minuto, miope, paziente dello svolgimento di un teorema». Eppure, l’operetta di Abbott non è solo questo. Essa si inserisce coscientemente in una precisa tradizione anglosassone, che potrebbe dirsi fantastica, la quale, da Thomas More a Lewis Carroll, configura mondi alternativi che permettono uno sguardo straniato su quello reale e contemporaneo allo scrittore. Spazia, inoltre, tra i generi senza coincidere con alcuno, giacché per lo meno gli andrà anche attribuita la funzione di pamphlet satirico, fine meccanismo di denuncia sociale. In tale contesto, paragonando gli uomini a linee, piani e figure geometriche l’autore lancia la sua critica verso una società statica e piatta, teorizzando l’esistenza di mondi a più dimensioni tutti ancora da scoprire attraverso l’elevazione della mente.