Descrizione
“Non ho riscritto il libro. Ne ho mitigato gli eccessi barocchi, ho limato asperità, ho cancellato sentimentalismi e vaghezze” dichiara Borges ripresentando nel 1969 la sua prima raccolta poetica. Il giovane ultraista colpevole di “innocenti novità rumorose” che l’aveva pubblicata nel 1923 e colui che ora “si rassegna o corregge” sono inequivocabilmente la stessa persona: “entrambi diffidiamo del fallimento e del successo, delle scuole letterarie e dei loro dogmi;” confessa “entrambi veneriamo Schopenhauer, Stevenson e Whitman” – e “Fervore di Buenos Aires” prefigura “tutto quel che avrei fatto in seguito”. Diagnosi non si potrebbe più precisa. Buenos Aires, non c’è dubbio, è la protagonista assoluta: ma non si tratta della città ‘moderna’ che con la “schiamazzante energia di certe vie centrali e l’universale plebe dolente che frequenta i porti” incantava l’avanguardia. Al suo cuore spurio Borges contrappone le tracce di un tempo perduto: i patios “che hanno fondamenta / nella terra e nel cielo”, i crocevia “trafitti / da quattro lontananze senza fine”, e soprattutto i sobborghi “riflesso del nostro tedio”, luogo simbolico dell’identità criolla. E non è un caso che Buenos Aires dischiuda i suoi segreti al crepuscolo, quando il silenzio che abita gli specchi “ha forzato il suo carcere”, o di notte, allorché gli orologi “spargono un tempo vasto e generoso”.