Descrizione
«Scritto nel 1964, subito dopo “Gelo”, “Amras” è la storia di due giovani fratelli costretti a vivere in una torre, nei dintorni di Innsbruck, isolati dal mondo. Viene rievocata la storia della loro famiglia: i dissesti economici causati dal padre, l’epilessia della madre, il clima persecutorio dell’ambiente politico e culturale tirolese. La loro ambigua e morbosa simbiosi verrà spezzata drammaticamente. Lo stile del racconto è già caratterizzato da un flusso verbale a forte carica emotiva, ma la scrittura non è ancora venata dal cinismo beffardo dei libri successivi. È l’opera che piú si avvicina a una precisa e profonda «cognizione del dolore». Forse per questo in piú occasioni Bernhard stesso disse che “Amras” era il suo libro piú riuscito. Il racconto esprime, allo stesso tempo, la strenua volontà e l’impotenza dei personaggi di vivere nella realtà, e la rappresentazione di questa aporetica situazione esistenziale è affermata (e simultaneamente negata) con perfetta corrispondenza dai modi retorici che compongono il testo. Bernhard presenterà cosí il racconto in un autocommento mai pubblicato: «ad essere descritta è una superficie. Solo la descrizione di una superficie è possibile “Amras” descrive una minima parte di un processo di dissoluzione di una genialogia [sic] familiare tirolese in cenni allusivi». I due protagonisti – divisi dentro e fuori se stessi, a partire da un’unità impossibile da ricomporre – sono calati in un mondo irto di contraddizioni, gettati nel buio del loro destino. E mentre il senso della loro vita si disperde, abbandonandosi nel flusso della frammentarietà, la narrazione, a sua volta, devia e divide i segni per impedire che questi s’irrigidiscano trafitti da un unico significato. La sfida per l’autore è descrivere il caos senza mai cedere un centimetro al caos. Nonostante la superficie non sia mai levigata dalla sintesi, in “Amras” va notato il modo in cui Bernhard collega elegantemente forme narrative eterogenee, dando l’impressione di un’unità di racconto che invece tradisce numerose lacune e cesure. Ardite modulazioni in cui piacere e dolore, oscurità e sapere s’intrecciano indissolubili.» (Dalla prefazione di Vincenzo Quagliotti)