Descrizione
«Cupido di danaro ma ancor più di fama, avidissimo di conoscenze e di esperienze, spinto da una inesauribile curiosità di vedere, apprendere, fare e provare, aveva lasciato la “dolce patria” per esercitare la professione di medico vagabondo ed errante. Se dobbiamo credere alle sue numerose pagine autobiografiche, si trattò di una scelta soprattutto culturale. Fosse sincero o no, fosse ardore di conoscenza o più semplicemente bisogno di lavorare per sbarcare il lunario, la sua è una singolare autobiografia, unica nella storia medica e culturale italiana.» Partito da Bologna, Leonardo Fioravanti attraversa regni, principati, repubbliche; affina il mestiere guardando lavorare i colleghi, come pure i contadini e i pastori che curano i loro animali e gli animali che curano se stessi. Non si lascia inibire dai pregiudizi scolastici e dagli intoccabili canoni dettati dai luminari, ma crea una pratica medica nuova, basata sull’esperienza. A volte fa centro; spesso invece no. E soprattutto si attira le antipatie delle venerabili auctoritates della «cirugia». Forse proprio questa è la ragione del suo vagabondare: lo vediamo dunque a Tropea mentre assiste due barbieri che riattaccano un naso; a Palermo mentre asporta la milza della donna più bella della città; sulle coste mediterranee dell’Africa a salvare i soldati di Carlo V da un’epidemia mortale grazie ai bagni nel mare. Sempre inseguito da accuse di inettitudine e ciarlataneria; ma «la buona sorte sorrideva a questo bolognese che con il suo eloquio fluente e rassicurante, con la sua prosopopea teatrale condita da una spruzzata di saccenteria istrionica, sapeva conquistare la fiducia di malati d’ogni genere e di ogni ceto». Il Saggiatore prosegue la ripubblicazione del corpus delle opere di Piero Camporesi con “Camminare il mondo”, narrazione dei viaggi rocamboleschi di Fioravanti. Avido lettore di ogni documento del passato, Camporesi restituisce al lettore moderno la biografia non di un medico, ma del mondo che calpesta, il gran secolo del Rinascimento; e lo fa con tutta la maestria che gli conosciamo: l’abilità nell’attraversare saperi, nel disgregarli e riassembrarli in nuove forme, dando loro la matericità delle «cose basse» e dando alle «cose basse» la sublime leggerezza della conoscenza.